di Stefano Semerano
LONDRA
Un coach per amico. O un amico per coach. Le vite dei tennisti sono spesso brade, incostanti, dilaniate da mille trasferte. Riscaldate dalle vittorie, raffreddate da sconfitte che ti entrano sottopelle e mordono come ghiaccio. Per migliorare rovescio o servizio hai bisogno di un coach, per estrarti dalla malinconia e difenderti dal freddo serve soprattutto un amico. Le due figure a volte coincidono, nel tennis gli esempi si sprecano: Andreas Seppi e Max Sartori, Novak Djokovic e Marian Vajda, Mikhail Youzhny e Boris Sobkin. Simone Bolelli, l’ultimo azzurro in tabellone nei Championships che oggi (dalle 11.30) nel prolungamento del match interrotto sabato per oscurità contro Key Nishikori, il giapponese n.12 del mondo, cercherà di diventare il quinto italiano nella storia capace di entrare negli ottavi a Wimbledon, di “spalle” ne ha tante. Umberto Rianna, il coach vero e proprio, che però è anche responsabile under 14 della federazione e italiana e dopo il primo turno è dovuto scappare in Belgio per seguire la Copa del Sol. Giancarlo Petrazzuolo, che di Rianna è il vice ed era a Wimbledon per i primi due turni di qualificazione. E poi Dionigi Tucci, anni 60, detto “Dion’,’ o ancora meglio “paparino: «Perché paparino? – risponde il Bole esibendo uno dei suoi sorrisi disarmanti – perche è uno che risolve tutti i problemi: se sei nella m.. c’è lui a darti una mano. Ci siamo incontrati quando mi allenavo a Roma con Riccardo Piatti, fra il Villa Aurelia e il Forum. Il mio preparatore di allora, Marco Panichi, era amico di Dionigi, che è “malato” di tennis. L’amicizia è nata così». Poi si è trasformata. Nel 2011 Bolelli ha avuto bisogno di qualcuno che lo raggiungesse al torneo Zagabria: è stato paparino a montare sull’aereo rischiando la trasferta all’ultimo minuto, con un metro di neve. «E scambiando Dubrovnik per Zagabria – se la ride con gli occhi chiarissimi Tucci, 60 anni, di professione agente assicuratore delle Generali, nato a Cosenza dove giocava nelle giovanili del calcio – perché io mica sapevo che c’era uno scalo, e l’inglese non lo parlo». Il paparino il tennis lo ha scoperto tardi, a 30 anni, guardando giocare l’ex pro e coach italiano Vittorio Magnelli, adesso esibisce orgoglioso passione e classifica («Sono un 3,5, lo scriva, lo scriva»). Con Bolelli e la moglie Ximena il feeling è scattato naturale, fra generosità calabrese e bonomia bolognese. «Li vedevo lì al circolo, freschi sposini un po’spaesati, è stato naturale scambiare due parole, invitarli a mangiare un’amatriciana cucinata da mia moglie Linda. E così è iniziata la mia rovina…. Eh sì, perché adesso Tucci è diventato il quarto uomo dello staff di Bolelli insieme con Rianna, Petrazzuolo e il preparatore atletico Giancarlo Ragazzi. Bergamo, Vercelli, Tunisi, Roma, persino gli allenamenti a Tirrena: il paparino è stato presenza fissa nel cammino di rinascita che in meno di sei mesi ha riportato Simone dal n.367 del ranking a ridosso nei primi 100. Tanto che a Wimbledon la BBC lo ha persino inquadrato e scambiato per Rianna, e Simone due giorni fa mostrava esilarato l’immagine tv che gli hanno spedito sul telefonino. Del coach Tucci non ha la preparazione tecnica («naaa, il suo dritto proprio non si guarda…», scherza il Bole).
Dell’amico invece possiede la stoffa vera. Quella che sa cucire gli strappi dell’anima. «Simone ha vissuto un momento veramente difficile – spiega – i risultati non venivano, forse ha pensato anche di lasciar stare. Poi le cose sono girate, ed eccoci qua», dice stringendosi nella tuta bianca sotto l’acquerugiola di Londra. «Anche per venire a Wimbledon sono partito all’ultimo momento con due robe in valigia, persino questa tuta è di Simone. Ma con lui c’è un rapporto di amicizia vera, disinteressata, perché Simone è un ragazzo d’oro. Lo dico sempre Fognini: sei un grande ma il numero uno è il Bole non scherniamo». Quando ci vuole un amico.